Dal rapporto sull’Avvocatura 2024 stilato da Cassa Forense in collaborazione con CENSIS, è emerso che, a partire dal 2022, i numeri dell’avvocatura sono per la prima volta in calo. Significa che gli avvocati stanno gradualmente abbandonando la professione, cancellandosi dagli albi.
Ma perché la professione di avvocato sembra stare perdendo l’appeal di un tempo? E perché questo potrebbe addirittura portare benefici alla categoria (soprattutto nel lungo periodo)?
Scopriamolo insieme.
Avvocati: come sta andando la professione?
1. Avvocati a un bivio: chi sta lasciando la professione?
Nessun avvocato degli anni ‘80 crederebbe al fatto che, in quarant’anni, il numero degli avvocati si sarebbe quadruplicato. Eppure, se nel 1985, in Italia, il numero di avvocati era di 0.7 ogni mille abitanti, nel 2024 la media è di quattro avvocati ogni mille abitanti.
Dal 2022, tuttavia, si assiste a una flessione degli iscritti all’albo degli avvocati, diminuiti dello 0,1% tra il 2022 e il 2023 e dell’1,3% tra il 2023 e il 2024: la differenza tra il numero di nuovi iscritti all’albo e il numero di cancellati (compresi i pensionati), per l’anno 2023, è in negativo di 1.650 unità. Secondo la fotografia che ci restituisce il rapporto CENSIS, l’avvocato che nel 2023 si è cancellato dall’albo è prevalentemente donna e ha/aveva un’anzianità di iscrizione di circa quattordici anni: molti di loro hanno ritenuto più proficuo tentare nuove strade, preferendo spesso la via della pubblica amministrazione, grazie anche ai bandi del PNRR che hanno riaperto tanti concorsi pubblici. Oltre ad aspetti prettamente economici e pratici, però, andrebbe segnalato che molti (ex) colleghi hanno scelto di abbandonare una professione che, in realtà , non avrebbero mai voluto esercitare: in particolare negli anni ’70 e ’80, infatti, in tanti si iscrivevano alla facoltà di Giurisprudenza solo perché erano “indecisi” e/o per una scelta “obbligata”. E molti di loro hanno poi iniziato a svolgere la professione senza troppa passione e/o interesse. Ebbene: in questi casi la cancellazione di questi (ex) colleghi dall’albo potrebbe rivelarsi un vantaggio sia per loro, perché finalmente svolgeranno un’attività che li gratificherà maggiormente; e sia per la categoria, perché la saturazione del mercato andrà gradualmente diminuendo, fino ad arrivare a una situazione di (maggior) equilibrio.
2. A scoraggiare gli avvocati sono i costi della professione
L’attività di avvocato, così come qualunque altro tipo di attività professionale o imprenditoriale, ha dei costi che devono essere sostenuti dal titolare: proprio i costi sono una delle principali motivazioni di abbandono della professione, perché ritenuti non proporzionati ai guadagni. Infatti, il 34,6% degli intervistati ha dichiarato di voler lasciare la professione nel prossimo futuro, e di questi ben il 63,2% lo farebbe (e lo farà) a causa degli eccessivi costi.
La maggioranza degli avvocati italiani, ad oggi, condivide lo studio con altri colleghi o altri professionisti, ma dividere le spese di affitto, luce, condominio e servizi vari non è sufficiente. Un avvocato si trova infatti a sostenere (anche) le spese relative all’iscrizione all’albo, ai contributi della Cassa Forense, oltre ai costi per il commercialista, tasse, assicurazione professionale obbligatoria, strumenti di lavoro e software, posta elettronica certificata, firma digitale e formazione obbligatoria. Si tratta, insomma, di una vera e propria attività d’impresa, che richiede anche degli alti livelli di competenza, professionalità e responsabilità.
3. Il reddito non è un incentivo
L’inadeguatezza dei compensi professionali è l’altro tema che sta facendo perdere fascino a questa professione. Un tempo, infatti, il mestiere di avvocato garantiva dei guadagni estremamente elevati, indipendentemente dalla fascia d’età e dal nome, perché i professionisti sul mercato erano relativamente pochi. Oggi che la situazione è nettamente diversa, il reddito medio annuo per un avvocato, secondo l’ultimo rapporto CENSIS, è di € 44.654,00; si tratta di una cifra che viene raggiunta, in media dopo i 45 anni di età; in pratica, ci vogliono almeno vent’anni di gavetta e duro lavoro prima che l’avvocato possa dirsi nel pieno della propria attività, sotto il profilo economico.
In quei vent’anni, però, un giovane vorrebbe vivere, costruire una famiglia, un futuro, avere un minimo di stabilità economica, mentre una situazione del genere, naturalmente, li scoraggia.
Anche l’eccessiva durata dei processi e gli alti costi della giustizia costituiscono un ulteriore motivo per cui gli avvocati italiani faticano a riscuotere i propri crediti dai clienti, insoddisfatti perché “la causa non è andata in decisione” oppure perché “l’appello dura da troppi anni”; il medesimo discorso può essere fatto (anche) per quei legali che devono riscuotere crediti dalla pubblica amministrazione o per gratuito patrocinio: i tempi di liquidazione, in entrambi i casi, sono quasi biblici, superiori ai canonici 120 giorni assegnati dalla legge per effettuare i pagamenti. Spesso l’avvocato è costretto a intraprendere estenuanti e lunghe procedure esecutive per cercare di recuperare il proprio credito, che non sempre vanno a buon fine, anche a causa della situazione di difficoltà in cui versano molti enti, con le procedure di dissesto e predissesto sempre in agguato.
4. Il futuro dell’avvocatura, però, è più roseo di ciò che sembra
Non bisogna vedere solo il lato negativo della situazione, però: è vero che, probabilmente, l’avvocatura stia perdendo appeal, ma sta anche mutando pelle, adeguandosi al mercato, alle nuove tecnologie, ai nuovi modi di offrire servizi legali.
La diminuzione degli iscritti agli albi farà sicuramente aumentare il costo dei servizi legali ma anche la domanda di servizi di alta qualità, e ciò rappresenterà il futuro della professione: meno avvocati, maggiore qualità, compensi adeguati al costo della vita e agli standard qualitativi offerti, per un’avvocatura che con resilienza saprà risorgere dall’attuale crisi del Paese, con più forza e maggiore prestigio. I cittadini hanno e avranno sempre bisogno di giustizia, e l’avvocato dovrà sfruttare il momento per essere in grado di offrirla in maniera dignitosa e adeguata ai nuovi tempi che ci attendono. E il futuro, per gli avvocati, non sarà nero, anzi, nel lungo periodo, potrebbe gradualmente tingersi di tinte pastello: la riduzione degli iscritti aiuterà a ristabilire un equilibrio tra la domanda e l’offerta di servizi legali, favorendo maggiormente la qualità rispetto alla qu antità. E, si spera, farà finalmente riacquistare agli avvocati quel potere d’acquisto che, negli anni, aveva perso a causa di una vera e propria guerra tra poveri, che a volte sfocia(va) in gravi episodi di concorrenza sleale (pensiamo a tutte quelle agenzie che offrono servizi legali a prezzi sotto i minimi tariffari).
Infine, la diminuzione numerica di chi offre servizi legali gioverà anche ai clienti, perché questi potranno confrontarsi con una classe forense maggiormente preparata e con servizi qualitativamente migliori.
“Il contenuto è a cura dell’Avv. Manuela Calautti e dal team Digital Marketing Wolters Kluwer Italia.”