L’Italia, si sa, è caratterizzata da un tessuto economico e produttivo molto variegato, distribuito in maniera diseguale sul territorio nazionale e ciò si ripercuote, anche, sulla professione forense. Il ricco Nord-Est offre infatti agli studi legali una clientela ricca, in virtù di un numero importante di imprese presenti sul territorio (il numero di imprese iscritto alla Camera di Commercio di Bergamo è pari a quelle iscritte in tutte le Camere di Commercio della Regione Puglia, ad esempio). Eppure, gli iscritti all’albo degli avvocati nell’area del Nord Est sono molto pochi rispetto alla media italiana, tanto che dal Mezzogiorno si realizza con sempre maggiore frequenza il fenomeno della migrazione forense, con avvocati che decidono di aprire il secondo studio in regioni come il Veneto, la Lombardia o l’Emilia-Romagna. Tuttavia, questa non è la sola diseguaglianza “professionale” che i professionisti della legge si trovano ad affrontare. Discriminazioni anagrafiche, di genere ed economiche sono ormai all’ordine del giorno, e sarebbe quindi necessario correre ai ripari, trovando soluzioni quanto più efficaci e idonee. Come raccontiamo qui.
La age diversity nel mondo forense
Il fattore “età” rappresenta, da sempre, un elemento discriminatorio al contrario, per quanto riguarda l’avvocato: dal rapporto CENSIS 2024 emerge la fotografia di una clientela mentalmente arretrata, che ripone maggiore fiducia nel professionista più anziano rispetto al giovane, senza una ragione attinente alla qualità del servizio offerto. Eppure, il giovane avvocato, rispetto a quello anziano, è più aggiornato, “fresco” di studi e soprattutto è oggi un nativo digitale, quindi, avvezzo a sfruttare al meglio la tecnologia per massimizzare le risorse e maggiormente propenso – rispetto all’anziano – a utilizzare qualunque tipologia di processo telematico, con un’elasticità mentale sicuramente maggiore rispetto a chi ha iniziato a svolgere la professione quando esistevano solo carta e penna. Questa sorta di pregiudizio anagrafico scoraggia molti giovani avvocati ad aprire il proprio studio in paese o città, costringendoli a emigrare verso i grandi capoluoghi, dove grossi studi d’affari offrono dei rapporti di monocommittenza, in cambio della possibilità di formarsi e di lavorare al loro interno su una materia specialistica, anche se con orari di studio in genere molto impegnativi.
L’avvocatura è donna, ma la parità è ancora lontana
Secondo il rapporto CENSIS 2024, il 48% degli avvocati è di genere femminile e su 236.946 avvocati operanti in tutta Italia, ben 125.361 sono donne.
Si tratta di numeri importanti, segno di una costante crescita che dura almeno dal 2019, a cui però non corrisponde una vera parità di genere: stando sempre all’ultimo rapporto CENSIS, l’avvocato uomo ha un reddito medio di 59.172,00, mentre quello della donna è di soli 28.592,00, a fronte di un reddito medio per l’intera categoria di € 44.654,00.
Il divario economico che caratterizza l’attività professionale, inevitabilmente, genera differenze anche quando l’avvocato abbandona la professione, con le pensioni delle donne ex avvocato che rimangono al di sotto della media totale: nel 2023, il divario tra le pensioni di vecchiaia dell’avvocato donna rispetto agli uomini era di 9.281 euro, e di 7.959 euro rispetto alla media generale.
Si tratta di un gender gap allarmante, che però, com’è noto, non riguarda solo gli avvocati: in Italia gli strumenti di sostegno alla genitorialità sono molto pochi e il peso della gestione della famiglia grava per gran parte (ancora) unicamente sulla donna. Tra l’altro, la donna avvocato è penalizzata (anche) dalla sostanziale esiguità dell’indennità di maternità, calcolata sulla base dell’80% dei cinque dodicesimi del reddito relativo al secondo anno precedente a quello del parto: una giovane avvocata che decidesse di mettere al mondo un figlio a trent’anni percepirà quindi una somma calcolata sui redditi dichiarati quando aveva 28 e 29 anni, e i suoi guadagni erano probabilmente minimi, essendosi appena affacciata sul mondo del lavoro.
Cassa Forense, sotto il profilo del welfare, assiste la genitorialità maschile e femminile con i bandi periodici dedicati al sostegno delle famiglie, ma spesso si dimostrano insufficienti a soddisfare le esigenze di tutti e tutte. La vera rivoluzione si avrà quando la genitorialità sarà vissuta allo stesso modo sia per l’uomo che per la donna, ma su questo l’Italia ha ancora molta strada da fare.